Esperti segnalano violazioni della Costituzione Italiana, del Diritto Europeo e avvertono su un grave passo indietro nei rapporti con la diaspora
Approvato in via d’urgenza dal governo italiano il 28 marzo 2025 e attualmente in discussione in Parlamento, il Decreto-Legge 36 ha suscitato forti reazioni tra giuristi, parlamentari e rappresentanti delle comunità italiane all’estero. Il provvedimento, che limita il riconoscimento della cittadinanza italiana per iure sanguinis (diritto di sangue), è ampiamente considerato incostituzionale e un grave arretramento giuridico e umanitario.
Secondo giuristi e parlamentari dell’opposizione, il decreto viola diversi articoli della Costituzione Italiana, del Diritto Europeo e della giurisprudenza consolidata in materia. Di seguito, i sei punti di incostituzionalità:
1. Violazione dell’Articolo 22 della Costituzione Italiana
Il Decreto 36 tenta di negare il diritto alla cittadinanza a persone che già vi sono nate, affermando che “non l’hanno mai posseduta”. Tuttavia, il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza è automatico alla nascita, indipendentemente dal successivo riconoscimento amministrativo.
L’Articolo 22 stabilisce che “nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici”. Introdurre criteri retroattivi che escludono i discendenti contrasta direttamente con questo principio costituzionale.
2. Violazione del principio di uguaglianza (Articolo 3)
Il decreto impone regole differenti a persone con lo stesso grado di parentela con un cittadino italiano, come l’obbligo che l’ascendente sia nato in Italia o non abbia un’altra cittadinanza. Questo crea cittadini di “prima e seconda classe”, violando l’Articolo 3, che garantisce pari diritti a tutti davanti alla legge.
3. Violazione del principio di irretroattività (Articolo 11 delle Preleggi)
Le nuove condizioni previste dal Decreto 36 sono applicate a soggetti già nati con diritto alla cittadinanza, violando il principio di irretroattività delle leggi e compromettendo la certezza del diritto e il legittimo affidamento. La normativa italiana è chiara nel vietare l’applicazione retroattiva delle leggi in modo da ledere diritti acquisiti.
4. Uso improprio del decreto d’urgenza (Articolo 77 della Costituzione)
I decreti-legge possono essere utilizzati solo in casi di urgenza e necessità immediata, non per modificare strutturalmente diritti fondamentali. Gli esperti criticano l’uso dello strumento emergenziale per limitare un diritto garantito da decenni, senza il necessario dibattito parlamentare. La questione della cittadinanza richiede un ampio confronto pubblico e legislativo.
5. Restrizione al giusto processo (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo)
Il decreto limita l’accesso al riconoscimento della cittadinanza imponendo misure come il divieto di prove testimoniali e l’obbligo di dimostrare l’inesistenza di impedimenti occulti. Queste disposizioni violano il diritto al contraddittorio e alla piena difesa, garantiti dalla CEDU, cui l’Italia aderisce.
6. Contrasto con il Diritto dell’Unione Europea
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che la revoca o il diniego della cittadinanza deve essere individuale e garantire il diritto di difesa e l’esame caso per caso. La generalizzazione imposta dal Decreto 36 viola tali sentenze, esponendo l’Italia a procedimenti internazionali.
La fine della via amministrativa colpisce i discendenti in tutto il mondo
Un altro punto critico è l’impatto pratico del decreto. Limitando drasticamente la via amministrativa — la principale utilizzata dai consolati — il governo obbliga quasi tutti i discendenti italiani a rivolgersi alla via giudiziaria per ottenere il riconoscimento. Con l’aumento della domanda, i tribunali rischiano di collassare, aggravando un sistema già sovraccarico.
Giuristi e parlamentari avvertono: è un passo indietro
L’opposizione in Senato, rappresentata da senatori come Dafne Musolino e Francesco Giacobbe, ha già definito il decreto “una negazione dei diritti” e “una rottura della catena della cittadinanza”. Entrambi chiedono una nuova legge sulla cittadinanza che rispetti lo ius sanguinis e apra il dibattito sullo ius soli.
La cittadinanza è un diritto, non un privilegio
Il tentativo di restringere la cittadinanza per decreto non solo contrasta con l’ordinamento giuridico, ma ignora anche il ruolo storico dell’emigrazione italiana nella formazione di comunità in tutto il mondo. Per milioni di discendenti, la cittadinanza è un legame legittimo con le proprie radici, non un privilegio da negare per burocrazia o interessi politici.